E prosegue la nostra disamina sul maritozzo… Oggi ne parla anche Lucyette, visto che esiste una variante quaresimale del delizioso maritozzo… benché anche le altre ricette non contengono sugna, quindi forse andrebbero bene, eh? No eh?! Eh?…
Fear no more… Aduccia ci manda la ricetta dei
Maritozzi di Quaresima
Mettete in una tazza da caffè e latte [no, non in una mug, esterofile antipatriote. Tazza da caffè e latte. No, quella è una tazza da tè. No, quella è una tazza da cappuccino. No, quella è una tazzina da caffè – e sì che quella era facile, eh… – su, su non vorrete farmi credere che non avete una tazza da caffè e latte nel servizio?! Mentecatte!] 25 grammi di lievito di birra, sminuzzatelo, scioglietelo con un pochino d’acqua appena tiepida, unite due cucchiaiate di farina e aggiungendo un altro po’ d’acqua fate una pasta morbida che lavorerete soltanto un istante [eh! oh! fatto!] con un cucchiaino, coprirete e porrete in un luogo tiepido.
Dopo circa un quarto d’ora questo lievito avrà raddoppiato il suo volume [e se è aumentato solo di un terzo, è colpa vostra, che lo influenzate negativamente]. Mettete allora sulla tavola di cucina [e non in salone, come vostro solito] cinque cucchiaiate ben colme di farina [abbondate, tirchiacce risicate!] – fra quella del lievito e questa debbono essere in tutto 200 grammi – fate la fontana [spiritosella, te laggiù: t’ho visto che cercavi di riprodurre la fontana dei Fiumi di Piazza Navona] e nel mezzo ponete due cucchiaiate d’olio, il levito della tazza [da caffè e latteeeeeee non quell’altra tazza!], un pizzico di sale e una o due cucchiaiate di acqua tiepida, quanta ne occorre per avere una pasta assai leggera.
Lavorate energicamente questa pasta sul tavolo, sbattendola con le mani [e per sfogare meglio la vostra rabbia repressa, prendetela anche a randellate, via!] e quando si staccherà facilmente dalle dita e dalla tavola [implorando pietà] uniteci due cucchiaiate di zucchero.
Lavorate ancora un po’ la pasta, rotolatela nella farina, fatene una palla morbida e deponetela [esausta e ancora un po’ spaventata] in una terrinetta infarinata. Coprite e mettete in luogo tiepido.
Dopo un’ora, quando la pasta avrà cominciato a gonfiarsi [e quasi quasi comincia a pensare che, in fondo, il mondo sia un posto buono] rovesciatela [a tradimento] sulla tavola infarinata e incorporateci una cucchiaiata di pinoli mondati [preciso, perché tra voi di sicuro ci sono delle inette che ci lascerebbero la buccia] tre o quattro cucchiaiate di uvetta sultanina ed una cucchiaiata di scorzetta di arancio candita tagliata in listelline.
Lavorate un pochino con le mani per distribuire questo condimento; poi foggiate con la pasta un grosso cilindro dal quale ritaglierete dei pezzi della grandezza e della forma di un uovo [dica il candidato: come si ottiene una forma a uovo tagliando un cilindro?]
Mettete questi pezzi in una teglia leggermente imburrata [io avrei voluto la sugna. Ma dice che è Quaresima e che devo moderarmi…], a molta distanza uno dall’altro [perché il maritozzo è così, dà poca confidenza] e poi con le dita spianateli in modo da avere come dei piccoli panini bassi e oblunghi.
Rimettete la teglia al tiepido e lasciate che i maritozzi lievitino ancora per un paio d’ore [lo so, lo so, in tutto questo tempo potevate farvi un maritozzo tour per tutta Roma. Ma noi non siamo debosciate. Vero?! Vero?!] fino a quando cioè saranno ben rigonfi.
Riscaldate intanto il forno e badate che sia bruciante [suggeriamo la modalità Muzio Scevola per testare la temperatura]
Quando i maritozzi saranno lievitati – non ci vorranno meno di due ore [come sarebbe a dire “l’hai appena detto”?! Lo so. Volevo vedere se stavate attente.] metteteli nel forno ben caldo.
I maritozzi debbono cuocere in sei o sette minuti al massimo [Attention… trois, deux, un… ffffuuiiiit… mi gioco il jolly! Tutti al fil rouge!]e riuscire di un colore scuro.
Una più lunga permanenza nel forno produrrebbe la crosta, togliendo ai maritozzi la loro morbidezza caratteristica.
Appena cotti estraeteli dal forno [senza presine! Siamo cuoche massicce, noi!] e passate sopra ognuno, servendovi dello speciale pennello [che certamente non avrete, essendo pressappochiste degeneri, ma facciamo finta] uno sciroppo denso fatto con una cucchiaiata di zucchero e pochissima acqua, rimettendoli un istante nel forno tiepido [sì, sempre quel forno che vi ha ustionato prima. Ora è tiepido, va bene?!] per fare asciugare lo zuccchero.
Con questa dose otterrete circa dodici maritozzi [e se sono undici, li mangiate tutti e undici e via, da capo]
Ma siccome Ada è una donna sadica e cattiva molto attenta alla completezza ed esaustività delle informazioni che ci dà, ecco anche una versione… decisamente meno quaresimale (così fate il raffronto).
Maritozzi al burro
Il maritozzo classico, essendo fatto per il periodo di magro stretto [lasciate stare il trascurabile particolare che i maritozzi hanno l’impatto calorico di una bomba H] va impastato con l’olio.
Però molte pasticcerie confezionano dei maritozzi al burro, un po’ più piccini di quelli tradizionali [e te credo, Ada, se no li chiamavano Mattoni]
Sono squisiti specie col tè o col caffè e latte [e d’altro canto voi avrete senza dubbio le tazze da caffè e latte, no? No?!]
Il procedimento è in tutto uguale al precedente [quindi non mi fate ripetere, distrattone]. Fate il lievito come abbiamo spiegato [tu! Laggiù! Ripeti: come abbiamo spiegato?!] e con le stesse dosi, e quando avrà raddoppiato il volume impastatelo con cinque cucchiaiate ben colme [tirchione, non lesinate come al solito], un uovo intiero, mezzo ettogrammo di burro [senza sugna. Lo so. Son brutte cose] un pizzico di sale e una piccolissima quantità di acqua tiepida, per avere una pasta piuttosto molletta.
Quando la pasta sarà ben battuta [per buona misura ditele anche delle parolacce], lavorata e inzuccherata, fatene una palla; e per i canditi, l’uva, i pinoli, la lievitura [lievitura!] e la cottura procedete in tutto come sopra [ebbasta. Sempre tutto io vi devo spiegare]. Se volete potrete aggiungere nello sciroppo un nonnulla di vainiglina [perchè se no sa di poco]
Ecco.
Vi abbiamo presentato la Quaresima di privazioni di Ada Boni, direttamente dal 1935.
Dal canto mio, ho una voglia di maritozzo che metà basta.
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