Tag Archives: ada boni

Sapevatelo: per inette smacchiatrici/1

29 Mar

Pensavate che Aduccia sapesse solo di cucina?!

Macchè.

Una così, minimo minimo aveva quattro lauree in tuttologia, come Pico de’ Paperis.

E sapendo quanto inette e maldestre potessero essere le sue lettrici, tac, ecco qui (direttamente dall’agenda del 1948) alcuni suggerimenti, facili e veloci, per smacchiare tutto quanto le lettrice avrebbero sporcato con le loro manone di ricotta.

Consigli Utili

La benzina raffinata [non quella cafona che comprate voi] serve per le macchie d’unto e di grasso [e considerando la quantità di sugna che usiamo…]

Fregare ripetutamente [cleptomani che non siete altro] per il lungo [di che?! ] con un batuffoletto di cotone imbevuto del liquido e spostandone la superficie [di che?!] man mano che ne assorbe la macchia. [ma sì… dislochiamo randomicamente i complementi…]
Cospargere poi di talco la parte inumidita per far sparire l’alone di grasso [certo, poi se soffi, il talco si sposta e l’alone si vede, però anche voi applicatevi…]

Il sapone [lo so, lo so, non ve lo sareste mai aspettato, che il sapone pulisse, eh] Sfregare col sapone bagnato la stoffa asciutta, quindi fregarla [attente all’antitaccheggio] leggermente nelle mani o con uno spazzolino morbido e un po’ d’acqua tiepida, risciacquare prima con acqua tiepida poi fredda, togliendo man mano la schiuma con un batuffolo di cotone, asciugare fra due panni e stirare umido [nella prossima lezione, Ada ci insegnerà anche altri meravigliosi usi del sapone, come ad esempio lavarsi le mani]

Lo zolfo: [sataniste!] far bruciare un po’ di zolfo in un piattino [ricordatevi di preparare due pasticcini per quelli del 118,  quando dovrete chiamarli perché vi siete intossicate] o accendere alcuni zolfanelli [via, come la piccola fiammiferaia…]

Si copre con l’imboccatura di un imbuto di cartone [come sarebbe a dire, che non avete un imbuto di cartone… fatelo, cretinette!] e si espone al vapore che ne esce dall’orifizio [la grammatica è per i deboli!]la macchia inumidita; quindi risciacquare.

Il rosso d’uovo diluito in acqua tiepida serve per stoffe delicate di lana.

Si frega la macchia [v’attaccate a tutto…] quindi asciugare. Eventuali residui di grasso vanno tolti con alcole.

Io me la immagino, Ada mia.
Che incontrava le amiche e, davanti a un tè coi pasticcini alla sugna, si piegava in due dalle risate

“E… bbuuuuaahahahahauauaua…. ci pensi… quelle cretine… stanno lì che… no, capisci… buttano l’uovo sulle stoffe delicate di lana… ‘ste dementi… ci credono, capito?! Si bevono tutto… e stanno lì a farsi le fettine con lo zabaione, e poi macchiano i capi con l’uovo… no, ma ci pensi…”

No, ma grazie, Ada…

le sottili allusioni…

28 Mar

Si avvicina la Pasqua e, benché siamo ancora in Quaresima, ritengo di farvi cosa gradita condividendo la ricetta di Ada per un dolce tipico pasquale (così vi organizzate, procrastinatrici che non siete altro)

Donna ligia al dovere, si limita ad informarci sulla migliore ricetta… senza lasciarci traviare dalle sue personali opinioni in merito, che  è magistralmente brava (come dubitarne?) ad occultare.

Pastiera Napolitana

Come tutti sanno […vero?!] la pastiera è dolce prettamente napolitano [donde il nome, direi], il quale viene specialmente eseguito in occasione della Pasqua.

Potrebbe dirsi che essa è [sia, Ada… sia] in linea generale, una specie di crostata, il cui ripieno è costituito specialmente di ricotta [sì, sì, napoletani, sento il vostro grido di dolore da qua; buoni].

A questa ricotta alcuni aggiungono semplicemente una crema pasticcera e dei canditi, altri del riso, altri infine dell’orzo perlato o del grano.

Anzi la vera tradizione napolitana vorrebbe assolutamente l’impiego del grano. De gustibus… con quel che segue, come dice l’antico adagio [scusate, vado un secondo a vomitare]; e noi non ci indugeremo ad analizzare quanto questo grano mescolato alla ricotta sia opportuno, tenuto anche conto che nonostante venga ammollato e poi cotto a parte [seh, debosciate, pensavate di comprarlo pronto al supermercato… eh?], il grano [ho menzionato che parliamo di grano?!]oltre a non portare alcuna nota speciale di sapore, [anzi… scusate, torno a vomitare un secondo]rimane sempre un po’ duro.

Tanto vero che moltissimi pasticceri napolitani preferiscono impiegare l’orzo perlato [oooh, finalmente si ragiona] detto anche orzo di Germania, scegliendo quello a grani grossi.

La formula autentica, quella che viene eseguita a Napoli [e non quella bergamasca che conoscevate voi, parvenu] è la seguente:

La ricetta autentica!

Benedettava: una ricetta per l’Infanta

27 Mar

Su, su, vi sento lamentarvi “ma quelle belle ricette sugnose di una volta, non le metti più?”

Eh, come no, pronti!

In una versione che Ada aveva pensato per le debosciate frettolose, nella mitica agenda Cigno del ’48.

Questa ricetta l’ho scelta perché mi fa pensare all’Infanta del mio cuor, e alle sue torte fantasiose.

Spaghetti di magro

[il nome è un trionfo della negazione]

In un tegame fate insaporire e condensare in 50 grammi di burro 250 gr di Super Pomidoro Pelati Cigno[è un aereo? E’ un uccello? No, è super pomodoro!]

Facoltativa [tanto, cucinate voi, cosa volete che cambi…] l’aggiunta di uno spicchio d’aglio o d’un mazzetto d’odori, da togliere a cottura avvenuta [no, perché, Ada, io volevo avvoltolare gli spaghetti sul mazzetto con carote e sedano…]

A parte, in un casserolino, ponete due cucchiai d’olio e 5 acciughe ben pulite e sfilettate: in più, volendo [certo che voglio! Infanta! Corri! E’ il nostro momento!] un cucchiaio di panna, che raffina il sapore delle acciughe [e certo, acciughe e panna, una prelibatezza raffinata. Chi non lo sa.]

Mettete il casserolino […il casserolino…] a bagnomaria affinché le acciughe si sciolgano senza friggere.

Tolti dal fuoco pomodori e acciughe, riuniteli [con abbracci e commozione] rimestateli, e condite gli spaghetti, cospargendoli poi generosamente [eh, taccagnone?!] di formaggio.

Dunque vediamo Ada:

burro, panna, formaggio…

magri magri, sì, non c’è che dire.

Debosciate estreme: spaghetti alla rustica

27 Mar

Non sapete che cosa cucinare questa sera?

Cominciate a sentirvi inadeguate?!

Niente paura.

Aduccia ha una ricetta per voi.

Per voi, sì, le inette non plus ultra. Proprio per voi.

Anche con un nome accattivante, come si confà alle ricette “vere”.

Spaghetti alla Rustica

Per 6 persone [su, invitateli due amici, asociali!]: Spaghetti di pasta […no, non quelli di pongo] Cigno “Vera Napoli” gr. 700; Super Pomidoro Pelati [con doppio maglio perforante], un barattolo da Kg 1 [Cracco non sarebbe affatto d’accordo, Ada]; olio, mezzo bicchiere [e tanta salute!]; aglio, 2 spicchi; sale.

Mettete in una padella l’aglio e l’olio [l’aglio nuoterà allegramente]. Portate sul fuoco, e appena l’aglio sarà imbiondito toglietelo e al suo posto versate i pelati Cigno [forza, maldestrone: centrate con un kg di pomodori pelati lo spazio prima occupato da due spicchi d’aglio. Forza. Ho detto “al suo posto” mica tanto per dire]

Salate e fate cuocere per venti minuti.

In abbondante acqua leggermente salata cuocete gli spaghetti.

Scolateli e conditeli con la salsa preparata.

Ada, amore mio.
Lo so che lo fai per le inette più inette…

però questi che tu chiami “Spaghetti alla Rustica”…

Noi li chiamiamo “Il passo precedente alla pizza a domicilio”!!

Lettera aperta a una debosciata

26 Mar

Ricordate (eh, anche voi, fate uno sforzo) l’Agenda per la Casa di Ada?

Ecco la riprova che fosse tutta una manovra per venire incontro alle inette più inette, insomma del fatto che Aduccia fosse buona ed altruista.

Una lettera aperta che fa da introduzione all’agenda del 1961.

Gentile lettrice,

Tra i piaceri della vita vi è un primo piano quello di una buona tavola.

[perché, pensavate di averne altri?!]


L’offrire tutti i giorni una colazione e un pranzo ben riusciti [per la cena, che ordinino una pizza] è certamente cosa difficile, perché la cucina è un’arte [e voi siete delle inette]

Un’arte vera e propria, basata su misure e proporzioni, sull’equilibrio e la fusione dei diversi ingredienti, sulla scelta e la varietà dei piatti. [v’è presa l’ansia, eh? Vi capisco.]

Per ragioni economiche che la vita moderna impone [e, diciamolo, per la vostra inettitudine], i pasti vanno via via semplificandosi, ma il diminuire in numero delle portate non deve significare diminuire il numero di vitamine e di calorie di cui il nostro organismo abbisogna [via! Razioni K per tutti!]

Perciò la buona massaia che si preoccupa della salute del marito, dello sviluppo dei figli [lei stessa, invece, può pure morire] cura che i pasti da lei preparati siano digeribili, sani, sostanziosi [voi, invece, preparate i mattoni imbuttunati rifritti]

Ma sovente è facile sbagliare.

La buona volontà non basta.

[sì, parlo di voi: non ce la potete fare]

Ed allora non dimentichiamo che tutti gli aspetti della vita umana sono studiati dagli specialisti; [leggasi: magari troviamo un medico che vi curi] progressi scientifici sono al servizio della popolazione, nuovi ritrovati escono giornalmente dai laboratori per aiutare chi non sa  o non può dedicarsi a tali problemi. [leggasi: su, non vergognatevi e riempite il freezer di quattro salti]
La Società Cigno, conosciuta ed apprezzata nel mondo intero [e tanto che, andate a controllare se la conoscono in Cina?] Vi offre questo libro.
Leggetelo.
[Ho detto leggetelo!]
[L’avete letto?! Ripetete!]
[e adesso fatemi un riassunto mettendolo in prosa]
In esso i suoi tecnici vi presentano le ultime novità dell’anno che garantiscono il successo del pasto, l’esatta proporzione degli ingredienti; dunque, la salute. [come dite?! Melodrammatica?! Io?!]
Provate queste ricette, seguite i consigli [sì dai, ce la potete fare… non è vero che siete senza speranza, no, dai, su…]: avrete buon umore in famiglia e farete economia.
Auguri, Signora!
Che il 1961 sia per Voi un anno felice!
E ricordate che Cigno significa Salute!
[caro Signor Cigno, io ci ho provato ma, se lo lasci dire, quelle sono senza speranza: lei deve assolutamente produrre i quattro salti, quelle non ce la possono fa’]

Accorrete numerosi: per la casalinga à la page

23 Mar
guanti, di cui uno felpato

estate e inverno

Per sole 160 etichette [no, non punti, etichette. 160 scatole. Purciare, fate la spesa!]

Due paia di guanti di gomma con punte in rilievo antiscivolanti, dei quali uno felpato.

Precisare le misure [se no decide a casaccio Ada, vedete voi] 6 1/2 – 7 – 7 1/2 – 8 – 8 1/2 [se avete otto e mezzo di mani siete uno yeti]

Perchè, perchè solo uno felpato?

Al di là del fatto che ci ho messo un po’ a capire che si intendeva che era felpato un solo paio – e non un solo guanto -, mi chiedo perchè non felparli entrambi.

Costava troppo?

Ma no, inette malvestite: è che uno è per l’estate, e l’altro per l’inverno. Tutto, vi devo dire.

When Ada met Benedetta

22 Mar

Forse non tutti sanno che [e d’altro canto, non è un’informazione senza la quale non si vive…] Ada, a un certo punto, collaborò con alcune aziende alimentari.

E’ un po’ come le star televisive che, dopo un po’, cominciano a collaborare con vari sponsor.

In particolare, Ada dal 1933, collaborò con una grande (all’epoca, grandissima) azienda italiana di conserve alimentari, che chiameremo “Cigno” per non farvi pensare che io sia prezzolata [cara azienda, se vuoi prezzolarmi, parliamone … 🙂 ]

La Cigno faceva dono alle sue consumatrici di un’agenda (su cui segnare di tutto, anche l’organizzazione del bucato di casa)

corredata, ogni giorno, di una o due ricette adesche, ovviamente a base di prodotti Cigno.

Negli anni, le ricette passano da quel trionfo di spiedi e lardo che ben conosciamo a cose più in linea con l’evolversi dei tempi, passando dalla povertà del dopoguerra (in cui per 6 persone si cucinano 200 gr di carne) alla fretta di chi è troppo preso dal boom per star lì a spignattare (memorabile la ricetta delle fettine alla giardiniera)

Ora, chi non conoscesse ancora bene Aduccia mia, potrebbe pensare che questo sia “vendersi al nemico”; niente di più lontano dal vero.

Ada lo fa per voi.

Lo fa per quelle inette debosciate senza speranza, quelle che non hanno il forno a mattoni, lo spiede, il brodo pronto a litri, e che mangiano rena e gusci di vongole.

Ha messo a punto una serie di ricette adatte anche alle più imbranate, in cui omette financo di bacchettarci sulle dita… poi ci sono anche le sue solite perle, eh, solo ridotte alla portata delle debosciate spiedeprive.

Ada è un’eroina, capite.

Un’eroina buona, che portava la cucina anche alle inette.

Era una Benedetta Parodi ante litteram.

Potevo io lasciarmi sfuggire cotanti tesori?! [coro: noooo]

e infatti, no

sacrificarsi per la scienza

17 Mar

L’ho fatto.

Tempo fa mi sono detta “no, ma questa ricetta è impossibile, Ada se la sarà inventata. Non può essere. Ci provo.

E ci ho provato.

Son passati svariati mesi e, pur essendo sopravvissuta, non ho superato il trauma…

debbo condividere con voi!

Bistecchine di vitello allo zabaione

E già qui uno sano di mente direbbe “vabbè, Ada aveva il fegato sfasato dalla sugna, vaneggiava, andiamo oltre”.

Uno sano di mente, appunto. Io no. Io ho letto, e detto “non ci voglio credere… LA FACCIO”

Procuratevi delle bistecchine di vitello tenere e bianche, e di eguale grandezza [adelante, forza con quel righello. Uguali, devono essere.];

e preparate anche tanti crostini di pane fritti nel burro [vorrai mica metterci del pane semplice? Piccola Pusillanime!]della stessa grandezza della carne e alte circa un centimetro [e riprendete il righello, su, da brave].

Io, per non sapere nè leggere nè scrivere, ho usato il pan carrè. Agevolo prova fotografica, ché non si dica che mento.

Poco prima di andare in tavola mettete un pezzo di burro [eh beh. Certo. Pane fritto e carne non unta?! Sia mai] in una teglia e quando il burro sarà liquefatto infarinate le bistecchine e mettetele a cuocere.

Conditele con sale e pepe e man mano che arrivano di cottura appoggiatele sui crostini che avrete già disposto in bell’ordine [e non a casaccio come vostro solito, disordinate pasticcione che non siete altro] nel piatto di servizio.

Con un paio di cucchiaiate di acqua e mezzo bicchiere di marsala staccate bene il fondo della cottura in modo che la teglia rimanga ben netta [pulite bene, zozzone!] e travasate il liquido in un polsonetto [che non sarebbe a dire un polso pulito, sciocchina. Va’ a prendere una pentola un po’ fonda, figurati se hai un polsonetto, te.].

Ora; io il marsala in casa non l’avevo. Ho usato il VOV. Sparatemi.

Lasciate freddare un pochino, aggiungete tre rossi d’uovo [in effetti, l’epatologo non vi vede da un po’, gli mancate], sciogliete le uova con una piccola frusta di ferro, e poi portate il polsonetto su un fuoco debolissimo, sbattendo sempre e montando il composto come un comune zabaione [no. Davvero non sapete come si fa lo zabaione? Ma siete drammaticamente inutili!]

Quando questo composto sarà ben legato e soffice, versatelo sul vitello [che diventerà il vitello dai piedi zabaionati] e mandate subito in tavola.

Mi chiederete come fosse il sapore.

Pensate a del vitello tra pane fritto e zabaione.

Ecco.

Così.

 

poi dite che non vi amo.

no ma non è permalosa

15 Mar

Come certamente saprete, il Talismano della Felicità di Aduccia nostra non era il solo libro di cucina della sua epoca.

Ma Ada era magnanima, non le importava affatto della “concorrenza”.

Tutti liberi di acquistare, consultare e seguire i libri di cucina che meglio si ritenessero opportuni.

Lo si evince chiaramente dall’introduzione che fa al capitolo sulla

Pasticceria

Anche in questa parte del nostro lavoro [sì, Ada si dava del “noi” come Otelma] facciamo grazia [leggasi: risparmiamo] alle lettrici del cosiddetto “pezzo di bravura” che tutti o quasi tutti [perché mica penserete che io stia a leggere tutte le c… retinate che pubblicano gli altri, vero?] gli autori si ostinano [cattivi!] implacabilmente [perfidi!] a propinare a coloro che li leggono [e d’altro canto se siete così idioti da comprare i loro libri, ve lo  meritate]

Non ci sarebbe difficile dettare [perché, pensavate che lo battessi a macchina da sola, ‘sto tomo? E secondo voi gli elfi domestici che ci stanno a fare?!] una dozzina e anche più pagine dense di notizie storiche, di aneddoti e citazioni riguardanti l’evoluzione dell’arte dulciaria dalle origini ad oggi [che, ve pensate che non la so?! AH! Tzè!]

Ne facciamo volentieri a meno, convinti che le afflizioni non mancano mai ed è inutile procurarne delle nuove a sé e agli altri [ahr ahr. Son spiritosella. Ahr.]

[ci avevate creduto? Pensavate non sproloquiassi? MADDECHE’. Sproloquio, sproloquio, volevo solo dirvi che se comprate gli altri libri siete delle mentecatte]

Se la cucina intesa nei suoi molteplici aspetti può simpaticamente [simpaticamente!] interessare una signora, questo interesse è tanto maggiore nella pasticceria, la quale è un’arte così piacevole, delicata e fine che sembra ideata per gentili mani di donna [quindi voi, che c’avete le mani tozze, sgraziate e screpolate, niente, non ce la potete fa’, comprate la crema pronta, le sfogliatine Vicenzi e fate il millefoglioline]

E’ qui che la genialità e il buon gusto di una signora [mica i vostri… che tanto non ci sono; quelli di “una signora”] possono trovare la loro migliore espressione, specie per quel che riguarda la sobria decorazione di dolci o di gelati [oh Ada Ada… se tu avessi visto il 2012 e il proliferare delle Cake Designers, di “sobria decorazione” temo avresti poco da dire] l’artistica maniera di accomodare per un buffet torte, paste dolci o pastine, e via dicendo [tanto che ve le elenco a fa’… non siete capaci!]

Conoscendo per la lunga esperienza fattane [mica come certi che scrivono dozzine di pagine di fuffa. Io la so.] l’importanza che può avere in famiglia la confezione di una buona pasticceria [ho salvato più matrimoni io con una crostata…] abbiamo accordato a questo capitolo un più ampio svolgimento, così da mettere in grado le nostre lettrici di eseguire agevolmente qualunque preparazione, anche la più difficile [leggasi: vabbè che siete delle inette debosciate, ma tra trentamila ricette, UNA che riuscite a fare, la troverete… no?! Devo mettere la ricetta del millefoglioline di crema pronta?]

Chissà a che si doveva questo simpatico cappello nient’affatto risentito.

Forse erano usciti i dati della classifica vendite.

de rerum maritozzibus

28 Feb

E prosegue la nostra disamina sul maritozzo… Oggi ne parla anche Lucyette, visto che esiste una variante quaresimale del delizioso maritozzo… benché anche le altre ricette non contengono sugna, quindi forse andrebbero bene, eh? No eh?! Eh?…

Fear no more… Aduccia ci manda la ricetta dei

Maritozzi di Quaresima

Mettete in una tazza da caffè e latte [no, non in una mug, esterofile antipatriote. Tazza da caffè e latte. No, quella è una tazza da tè. No, quella è una tazza da cappuccino. No, quella è una tazzina da caffè – e sì che quella era facile, eh… – su, su non vorrete farmi credere che non avete una tazza da caffè e latte nel servizio?! Mentecatte!] 25 grammi di lievito di birra, sminuzzatelo, scioglietelo con un pochino d’acqua appena tiepida, unite due cucchiaiate di farina e aggiungendo un altro po’ d’acqua fate una pasta morbida che lavorerete soltanto un istante [eh! oh! fatto!] con un cucchiaino, coprirete e porrete in un luogo tiepido.

Dopo circa un quarto d’ora questo lievito avrà raddoppiato il suo volume [e se è aumentato solo di un terzo, è colpa vostra, che lo influenzate negativamente]. Mettete allora sulla tavola di cucina [e non in salone, come vostro solito] cinque cucchiaiate ben colme di farina [abbondate, tirchiacce risicate!] – fra quella del lievito e questa debbono essere in tutto 200 grammi – fate la fontana [spiritosella, te laggiù: t’ho visto che cercavi di riprodurre la fontana dei Fiumi di Piazza Navona]  e nel mezzo ponete due cucchiaiate d’olio, il levito della tazza [da caffè e latteeeeeee non quell’altra tazza!], un pizzico di sale e una o due cucchiaiate di acqua tiepida, quanta ne occorre per avere una pasta assai leggera.

Lavorate energicamente questa pasta sul tavolo, sbattendola con le mani [e per sfogare meglio la vostra rabbia repressa, prendetela anche a randellate, via!] e quando si staccherà facilmente dalle dita e dalla tavola [implorando pietà] uniteci due cucchiaiate di zucchero.

Lavorate ancora un po’ la pasta, rotolatela nella farina, fatene una palla morbida e deponetela [esausta e ancora un po’ spaventata] in una terrinetta infarinata. Coprite e mettete in luogo tiepido.

Dopo un’ora, quando la pasta avrà cominciato a gonfiarsi [e quasi quasi comincia a pensare che, in fondo, il mondo sia un posto buono] rovesciatela [a tradimento] sulla tavola infarinata e incorporateci una cucchiaiata di pinoli mondati [preciso, perché tra voi di sicuro ci sono delle inette che ci lascerebbero la buccia] tre o quattro cucchiaiate di uvetta sultanina ed una cucchiaiata di scorzetta di arancio candita tagliata in listelline.

Lavorate un pochino con le mani per distribuire questo condimento; poi foggiate con la pasta un grosso cilindro dal quale ritaglierete dei pezzi della grandezza e della forma di un uovo [dica il candidato: come si ottiene una forma a uovo tagliando un cilindro?]

Mettete questi pezzi in una teglia leggermente imburrata [io avrei voluto la sugna. Ma dice che è Quaresima e che devo moderarmi…], a molta distanza uno dall’altro [perché il maritozzo è così, dà poca confidenza] e poi con le dita spianateli in modo da avere come dei piccoli panini bassi e oblunghi.

Rimettete la teglia al tiepido e lasciate che i maritozzi lievitino ancora per un paio d’ore [lo so, lo so, in tutto questo tempo potevate farvi un maritozzo tour per tutta Roma. Ma noi non siamo debosciate. Vero?! Vero?!] fino a quando cioè saranno ben rigonfi.

Riscaldate intanto il forno e badate che sia bruciante [suggeriamo la modalità Muzio Scevola per testare la temperatura]

Quando i maritozzi saranno lievitati – non ci vorranno meno di due ore [come sarebbe a dire “l’hai appena detto”?! Lo so. Volevo vedere se stavate attente.] metteteli nel forno ben caldo.

I maritozzi debbono cuocere in sei o sette minuti al massimo [Attention… trois, deux, un… ffffuuiiiit… mi gioco il jolly! Tutti al fil rouge!]e riuscire di un colore scuro.

Una più lunga permanenza nel forno produrrebbe la crosta, togliendo ai maritozzi la loro morbidezza caratteristica.

Appena cotti estraeteli dal forno [senza presine! Siamo cuoche massicce, noi!] e passate sopra ognuno, servendovi dello speciale pennello [che certamente non avrete, essendo pressappochiste degeneri, ma facciamo finta] uno sciroppo denso fatto con una cucchiaiata di zucchero e pochissima acqua, rimettendoli un istante nel forno tiepido [sì, sempre quel forno che vi ha ustionato prima. Ora è tiepido, va bene?!] per fare asciugare lo zuccchero.

Con questa dose otterrete circa dodici maritozzi [e se sono undici, li mangiate tutti e undici e via, da capo]

Ma siccome Ada è una donna sadica e cattiva molto attenta alla completezza ed esaustività delle informazioni che ci dà, ecco anche una versione… decisamente meno quaresimale (così fate il raffronto).

Maritozzi al burro

Il maritozzo classico, essendo fatto per il periodo di magro stretto [lasciate stare il trascurabile particolare che i maritozzi hanno l’impatto calorico di una bomba H] va impastato con l’olio.

Però molte pasticcerie confezionano dei maritozzi al burro, un po’ più piccini di quelli tradizionali [e te credo, Ada, se no li chiamavano Mattoni]

Sono squisiti specie col tè o col caffè e latte [e d’altro canto voi avrete senza dubbio le tazze da caffè e latte, no? No?!]

Il procedimento è in tutto uguale al precedente [quindi non mi fate ripetere, distrattone]. Fate il lievito come abbiamo spiegato [tu! Laggiù! Ripeti: come abbiamo spiegato?!] e con le stesse dosi, e quando avrà raddoppiato il volume impastatelo con cinque cucchiaiate ben colme [tirchione, non lesinate come al solito], un uovo intiero, mezzo ettogrammo di burro [senza sugna. Lo so. Son brutte cose] un pizzico di sale e una piccolissima quantità di acqua tiepida, per avere una pasta piuttosto molletta.

Quando la pasta sarà ben battuta [per buona misura ditele anche delle parolacce], lavorata e inzuccherata, fatene una palla; e per i canditi, l’uva, i pinoli, la lievitura [lievitura!] e la cottura procedete in tutto come sopra [ebbasta. Sempre tutto io vi devo spiegare]. Se volete potrete aggiungere nello sciroppo un nonnulla di vainiglina [perchè se no sa di poco]

Ecco.

Vi abbiamo presentato la Quaresima di privazioni di Ada Boni, direttamente dal 1935.

Dal canto mio, ho una voglia di maritozzo che metà basta.