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Zombie Revolution

26 Set

Si avvicina il week end.

Penserete: ora ci dà una ricettina per tenerci leggeri in visione del gozzovigliare festivo?

No, macchè. Aduccia approfitta del tempo libero che avrete per darvi una ricettina un filo, ma giusto un filo, laboriosa.

Però il risultato, eh, il risultato… fa parlare i morti.

E non solo.

Vitello Uso Salmone

Per avere un risultato apprezzabile conviene lavorare un po’ in grande [oddio. “Un po’ in grrande” detto dalla donna che avrebbe voluto un forno di mattoni in ogni casa. Tremo già] e provvedersi di una bella noce di vitello del peso di circa un chilogrammo e mezzo [all’anima della noce] poichè se eseguita in troppe piccole quantità la preparazione risulta meno bene [vah, oh debosciate purciare, vi ho anche dato la scusa per i vostri insuccessi culinari. Sono le quantità, mica voi.]

In possesso dunque del vitello [vivo. Potete tranquillamente ospitarlo in salone, in attesa di sgozzarlo] procedete come se doveste fare una lingua allo scarlatto

[ecchele là. L0 sguardo di quando la prof di matematica annuncia il compito in classe a sorpresa. Ma su, su, ché sono magnanima]

fategli assorbire cioè, per sfregamento, un buon pugno di sale fino e una buona cucchiaiata di salnitro [ma come, “dove lo prendo il salnitro”… DAI MURI, ovvio, cretinette dalle case umide!].

Mettete ora sul fuoco un recipiente con due terzi d’aceto e un terzo d’acqua, una grossa cipolla in fette, una foglia di lauro, qualche bacca di ginepro [come sarebbe, che non tenete in casa le bacche! Uscite nel bosco dietro casa e prendetele. Ma attente al lupo.], qualche chiodino di garofano, un pezzo di sedano, e qualche granello di pepe infranto.

Lasciate bollire per qualche minuto e aspettate poi che la marinata [vedete? Voi la chiamavate broda puzzolente. Io la chiamo marinata. Eccola, la classe] si freddi

Dovrete regolarvi, circa la quantità di aceto e dell’acqua, di ottenere una quantità di bagno tale da potervi sommergere completamente la carne [via, liberate la vasca. Tanto non fate un bagno di schiuma da secoli, è inutile che vi raccontate bugie]

Mettete il vitello preparato col sale e salnitro [ripeto, prima che ci mettiate delle fettine a caso. Non vi conoscessi] in una terrina in cui vada quasi giusto [la vasca da bagno di cui sopra] ricopritelo con la marinata fredda e gli aromi e lasciate stare così per

cinque giorni

avendo cura di voltare ogni giorno il pezzo di carne [ma non con la luna piena. Per l’amor di Dio, non con la luna piena. Non chiedete perchè. Fidatevi]

Trascorsi cinque giorni [il pezzo di carne verrà a tirarvi i piedi nel letto, muggendo “dov’è la mia muuuuuuammaaa? Io faaame, io mangia teee…”] mettete una pentola metà aceto e metà acqua [ostentando indifferenza nei confronti del zombivitello che si aggira per casa vostra cercando del fieno] e quando il liquido bollirà aggiungete il vitello [mi raccomando, coglietelo di sorpresa e non fatevi mordere! se colpite la testa, siete salve] scolato dalla marinata [togli l’aceto, metti l’aceto: è un esercizio zen] e lasciatelo bollire fino a cottura, badando di non farlo scuocere [del resto, è in decomposizione da una settimana, volete anche scuocerlo? Non lo so…] ma di tenerlo anzi scarso di cottura.

Dopo averlo tolto dal bagno [e finalmente i vostri familiari potranno lavarsi nuovamente] lasciatelo freddare e poi tagliatelo in fettine sottilissime.

Prendete un piatto ovale di porcellana [mentecatte impreparate che mi volevate propinare quello tondo in ceramica. Tsk] piuttosto profondo, e in esso disponete le fettine di vitello, riavvicinandole l’una all’altra, in modo da ricomporre il pezzo di carne [capace che ricomincia a muoversi e a muggire. Occhio.]

Sul vitello mettete una guarnizione di sardine in olio [vitello zombie al sentor d’aceto e sardine. Mmmm] poca cipolla tritata, abbondante prezzemolo, anche tritato [ma sì! fai vedere che abbondiamo] e capperi [no, non è un’esclamazione] 

Innaffiate il tutto con dell’olio [innaffiate. Forza, con quegli idranti] e tornate, ad intervalli, a innaffiare con altro olio affinchè il vitello possa bene impregnarsene  [è una nota tecnica contro gli zombie. Prendete nota.]

Tenete la carne in un luogo fresco ed essa si manterrà per più giorni [ma sì. Del resto l’ho comprata di un giorno, l’ho tenuta in aceto e broda per altri cinque giorni, cotta in altra broda… alle brutte, facciamo amicizia, io e Zombitello, il vitello zombie]

Caratteristica di questa pietanza è il color rosa salmone che la carne deve assumere [eh io non te lo vorrei dire, ma secondo me è più verde, che rosa]

Si può servire semplice, o anche con salsa maionese.

Nella speranza che Zombitello ci scivoli sopra, e non vi acchiappi.

svezzamento, ada style

19 Set

Oggi una mia carissima amica è andata a fare il tagliando alla figlia, una delizia dagli occhi grandi che mangia anche i tavolini, eppure è sottopeso, secondo quelle tabelline nate apposta per mettere ansia alle mamme.

Revoluciòn, fear no more!

Ti propongo un sano piatto digeribile di Aduccia nostra, e vedrai che passa la paura.

Piedi di porco con broccoli

(sì, Revoluciòn, se fai la brava dopo cena scatta la gara di rutti)

E’ un piatto di famiglia, sano [e non sapete quanto] e gustoso, della cucina siciliana [e voi, parvenu, che conoscete solo la pasta alla norma e la pasta chi sardi e vi sentite pure globetrotter, per questo. Piedi di porco, si mangiano, in sicilia].

Si potranno calcolare a seconda dell’appetito [e del fegato] dei commensali, mezzo, uno o due piedi di porco a persona; ma noi [si dà del noi come Othelma] crediamo che un piede a persona sia più che sufficiente [avidone ingorde, che vi volevate mangiare due piedi di porco, magari di quelli in ghisa per aprire le serrande]

Si nettano bene i piedi [non i vostri, cretinette: quelli del maiale] e dopo averli raschiati e fiammeggiati si mettono a cuocere in acqua con un po’ di sale e qualche aroma come se si trattasse di preparare il brodo.

Si lasciano bollire pian piano e a lungo fino a completa cottura [che si fa Ada? Ci metto uno stecchino come nelle torte, per capire che sono cotti?]

Mentre i piedi cuociono mondate un broccolo [l’ortaggio. Non un uomo un po’ tardo, spiritoselle] dividete la parte centrale in tante cimette e lessatele, ma non troppo.

Quando i piedi di porco saranno cotti divideteli in due [con un’ascia] […ma per il lungo o per il lato corto?] e, se credete, portate via qualcuna delle ossa principali [le sapete, no, le ossa del piede di porco, no? Almeno le principali… no? Ignorantone.]

Preparate anche delle salsicce [e beh sì, Ada, ci sta. Piedi di porco e broccoli, sanno di poco, ora che abbiamo pure tolto le ossa principali] facendole cuocere pian piano con un pochino [pochino eh] di strutto [vi ricordo che è un piatto sano. E di famiglia. Anche l’epatologo, è di famiglia] o di olio in una padella, e bagnandole con qualche cucchiaiata di acqua per impedir loro di rompersi [le salsicce sono tipo le spugne, e se non lo sapevate è perchè siete ignorantone].

Di queste salsicce ne calcolerete una o due [crepi l’avarizia] a persona.

Quando le salsicce saranno cotte, levatele dalla padella e tagliatele in fettine non troppo sottili [e che, pensavate fosse un piatto da femminucce?!].

Prendete ora un tegame di terraglia [dieci minuti di pausa per consentire alle iper-debosciate di capire cos’è la terraglia, e scendere a comprare il tegame di coccio] sul fondo di esso versate un ramaiolo o due del brodo in cui cossero i piedi di porco, e fate un primo strato di piedi di porco [ve l’ho detto, i pronomi sono per i deboli]

Su questo strato disponetene uno di broccoli, condite con abbondante pepe, un po’ di formaggio grattato [e che, ti vuoi perdere la raclette di zampone al formaggio?] e qualche fettina [non sottile] di salsiccia cotta [perchè voi cretine sareste capace di cuocerle e poi mettere sui piedi di porco quelle crude] e terminate con uno strato di formaggio fresco (mozzarella)

Aspetta un attimo, Ada, amore della casa: piatto di famiglia (di epatologi); piatto sano: fino ad ora abbiamo piedi di porco, broccoli – e va be’, la verdura è sana – sugna, salsicce, formaggio grattato e mozzarella.

Non lo so, una ripassata in padella gliela diamo?

OK, OK, mi metto buona in un angolo, scusa.

Continuate [senza discutere, riottose] a disporre a strati piedi, broccoli, salsicce, formaggio fresco e formaggio grattato, fino ad esaurimento [vostro] terminando con uno strato di broccoli [per illudere i commensali, quando direte “ecco qua, un pasto sano”]

Versate su tutto un altro pochino di brodo [ma pochino, eh… non esagerate], a seconda del volume della pietanza, rompete in una scodella uno o due uova intiere, sbattetele come per frittata e poi versate queste uova sbattute, a cucchiaiate, sopra lo strato ultimo di broccoli.

[eh già, Ada, facciamola, la crosticina di uova. Vuoi che il piloro rimanga al suo posto, o che sopravviva una cellula epatica. No, BUM, tutto facciamo saltare. Tutto]

Mettete il tegame su un po’ di brace [ancora voi. Ancora voi, malnate, senza falò al centro del salone. Impreparate!], copritelo con un largo coperchio e su questo coperchio [ripeto perchè siete delle cretine, ecco perchè ripeto] mettete anche della brace [a mani nude, ovvio]

Lasciate stufare così [la pentola, si deve stufare. Voi no. Andare, pedalare] per una buona mezz’ora, e poi mandate in tavola senza travasare [anche perchè sta roba, secondo me, se la agiti troppo esplode]

L’uovo sbattuto avrà fatto alla superficie una appetitosa crosta dorata e i vari ingredienti [non ha la forza di riassumere nemmeno lei] avranno avuto modo di fondere armoniosamente i loro caratteristici sapori e profumi [profumi. Broccolo e piedi di porco, col formaggio grattato. Profumi. Ah, la fine ironia di Ada]

C’è chi ama aggiungere una maggiore quantità di brodo per poter intingervi del pane [eh, pure voi, avidi mangiapane a tradimento], ma questa eccessiva diluizione nuoce, secondo noi, al risultato finale [ovvero all’esplosione del fegato] sicchè crediamo sia meglio mettere soltanto quella quantità di brodo necessaria, affinchè quando il tegame verrà esposto al fuoco [vedi, fuoco, questo è il tegame…] la pietanza non abbia ad attaccarsi, ma nello stesso tempo possa risultare, a cottura completa, quasi asciutta.

Talmente asciutta, Ada, che io ci metterei un po’ di strutto liquefatto.

Una donna di mondo

3 Giu

Pensavate che Ada se ne stesse solo a Roma, o al limite girasse l’Italia alla ricerca della sugna più saporita?

Think again.

Antipasti alla russa

In Russia l’antipasto freddo “Sakuska” [anvedi. So le lingue, io, mica come voi che a stento dite “ciu coffiis, plis” quando siete all’estero] è l’indispensabile prologo d’ogni mensa [la Russia del 1925: antipasti a iosa, ogni giorno. Yesss.] ed assume spesso un’eccezionale importanza.

[e ora, prego, canticchiatevi l’aria sulla quarta corda di Bach, mentre vi erudisco]

Viene generalmente servito in una sala separata, e con lusso grande; ed innaffiato da liquori [gettandosi il bicchiere alle spalle, eh, Ada? Eh?!] come Assenzio [mi spiego molte cose] Wodka [lo pronuncia alla russa], Allash [non saprei; google me lo dà solo come cognome di una ballerina] Kummel, etc. [avvinazzata di un’Ada]

La “Sakuska” russa comprende pesci di mare e d’acqua dolce, affumicati e salati, uova di pesce [il pesce è un po’ come il maiale, in Russia: non si butta via niente] , insalate, creme agre, formaggi, pasticcini ecc. [insomma, si sbrina il frigo e si mette tutto in un salone]

Da noi una tale abbondanza di vivande piccanti e di liquori forti non sarebbe possibile [no, infatti, Ada, noi siamo solo quelli che mangiano i bignè ripieni di coratella, impanati e fritti ]: e ci accontenteremo di far passare un grande vassoio nel quale siano artisticamente disposte [e non lanciate alla rinfusa come fareste voi sciattone] le più svariate ghiottonerie entro altrettanti piccoli piatti di argento, di cristallo o [e che, non vi conosco, a voi poracce?] di porcellana. [in tutto questo, Ada, quanto dev’essere grande ‘sto vassoio, per contenere tutto questo fiorire di piatti?]

L’antipasto può variare all’infinito, a seconda dell’importanza che gli si vuol dare, e anche della spesa [purciare].

Si potranno presentare per esempio:

  • un’insalata di legumi tagliati in piccolissimi pezzi [la nota dadolata di piselli] e legata con una buona salsa maionese
  • alici piccanti [le alici, con Ada, non mancano mai]
  • alici all’olio, guarnite di prezzemolo
  • filetti di aringhe guarniti con fettine di limone [mi vien sete solo a leggere]
  • salmone affumicato
  • sardine all’olio
  • prosciutto crudo
  • prosciutto cotto, con gelatina [beurk]
  • mortadella di Bologna
  • salamino di Milano
  • burro in piccoli pani [evviva, mangia anche tu un panetto di burro. Piccolo, però]
  • cetriolini sotto aceto
  • pomodori crudi ben ghiacciati, spellati, tagliati in fettine e spruzzati d’olio e sale [noi lo chiamiamo insalata di pomodori]
  • carciofini
  • funghi sott’olio
  • caviale
  • ecc. ecc.

[del resto, vi ricordo, che da noi una tale abbondanza di vivande piccanti non sarebbe possibile; era piccanti, il problema, capite?]

L’importante è che ogni cosa sia disposta con esattezza e gusto [pettinate quelle uova di pesce, da brave], norma, codesta, che come abbiamo detto più innanzi, presiede al montaggio di tutti gli antipasti freddi in genere [presiede al montaggio. Perchè, voi non dite così per intendere “è alla base”?!]

Fate servire [dagli elfi] contemporaneamente un vino bianco secco, molto freddo.

E perché non della uodka, Ada?

non dite che non vi avevo avvertito

8 Mag

Delle volte, secondo me, Ada era costretta da qualche potere forte a mettere certe ricette, ma lei lo sapeva bene, che le inettucce sue non ce l’avrebbero mai potuta fare… tuttavia, col suo fare materno, cercava di non farlo pesare alle povere cuoche wannabe.

Il rognone

Non che il rognone sia un alimento di tutti i giorni, ma usato di quando in quando può piacere [magari a voi, che avete il palato bruciato dall’alcool] e contribuire a dare una certa varietà ai menù quotidiani.

Ma il rognone viene generalmente mal preparato in casa [è inutile che vi nascondiate dietro a un dito, incapaci che non siete altro] e spesso coloro che ne mangiano volentieri in trattoria o in albergo rinunziano a farlo cucinare in famiglia per quello sgradito sapore che esso acquista [quindi è colpa vostra. Cucinate un rognone da schifo, e quello se ne va in albergo. Poi è ovvio, sei lì, che fai, non ti chiami una escort? Eccolo là come va il mondo]

Le donne di servizio e le cuoche [sì, sì, date la colpa agli elfi domestici, voi] hanno, per preparare il rognone, sistemi assolutamente barbareschi, e ne risulta una vivanda dura, tigliosa [tigliosa. Che sa di tiglio. No?] e non eccessivamente piacevole all’odorato [insomma, puzza di piedi di cadavere]

V’insegneremo qui il migliore modo per cucinare il rognone ed ottenere una pietanzina delle più squisite [da dirsi con tono garrulo e battendo le manine]. Il rognone di vitello non è molto conveniente per famiglia. E’ ottimo, ma costa caro, quasi come una buona bistecca [e lo sappiamo, che non c’avete manco i soldi pe’ piagne]

In ogni modo per chi avesse l’occasione di cucinarlo [magari rubandolo] eccone il semplicissimo procedimento [su, inettone, vediamo come riuscite a spingere il coniuge verso la perdizione].

Si taglia il rognone in due parti, e di ogni pezzo si fanno due fettine. Su queste fettine si fanno leggeri tagli incrociati come un’ingraticciata [ingraticciata.] e poi si mettono in un piatto, si condiscono con olio, sale e pepe, e si lasciano star così circa un’ora.

Al momento di andare in tavola [tanto mica volevate mangiare, no?] si dispone il rognone sulla gratella e si arrostisce a fuoco moderato [immagino che si intenda fuoco vero, non un fornello] In pochi minuti sarà fatto. [Aug. Ho detto.]

Accomodatelo in un piatto [e offritegli pure un caffè], spruzzateci un po’ di sugo di limone e mangiatelo caldissimo [SENZA BERE ACQUA! Non fa male! Non fa male!]

Il rognone di vitello non esige operazioni preliminari [è uno così, alla buona, alla svelta], indispensabili invece quando si tratti del rognone di bue [che invece vuole minimo minimo essere invitato a cena]

Per ottenere un risultato certo, seguite perfettamente [perfettamente. E se no ricominciate] le istruzioni seguenti.

Per sei persone prendete un bel rognone di bue, osservando che sia fresco e di bel colore – se avesse un color smorto e delle macchie verdastre rifiutatelo senz’altro [ma no! Ma non mi dire! E se ci sono dei simpatici vermi che faccio?! Compro?!] liberatelo da ogni residuo di grasso, e tagliatelo, come un salame, in fette sottilissime.

Mettete in una padella un cucchiaio d’olio o [ecco il momento che aspettavate] una piccolissima quantità di strutto: aggiungete il rognone tagliato, e mettete su fuoco molto forte.

Dopo due o tre minuti, quando vedrete che il rognone perde il suo color sanguinolente [sanguinolente. Imparate l’italiano] ed incomincia a rosolarsi, levate la padella dal fuoco, versate il rognone in un colabrodo e appoggiate il colabrodo[i pronomi sono per i deboli]  su una scodella.

Vedrete ben presto che il rognone incomincerà a sgocciolare un sugo nerastro e sanguigno [non vomitate! Per l’amor di Dio, non vomitate!]; lasciatelo sgocciolare per una diecina di minuti.

Nettate intanto la padella [zozzone], metteteci una cucchiaiata di strutto, o dell’olio se più vi piace [mammolette che non siete altro] tagliate finemente una cipolla e fatela imbiondire adagio adagio su fuoco moderato.

Trascorsi dieci minuti [ve l’avevo detto: adagio] il rognone avrà sgocciolato quasi una scodella di sangue e con esso tutte le sue impurità  […lo volete ancora mangiare?]

Si ravviva allora il fuoco, si getta il rognone [NO! non nella pattumiera, avventate!] nella padella con la cipolla, si bagna con mezzo bicchiere di vino bianco, o meglio ancora con due dita di buon marsala [le quattro precedenti le avrete bevute voi – mi dicono dalla regia] ci si unisce un mezzo cucchiaio di salsa di pomodoro [ma sì, fai vedere che abbondiamo] sale e pepe, e sempre su fuoco vivace si fa cuocere per altri due o tre minuti.

Si rovescia [no, non voi; il rognone] su un piatto, si cosparge con una cucchiaiata di prezzemolo finemente tritato e si contorna con crostini di pane fritti [e se no è leggero, pure tu c’hai ragione].

E’ buona regola riscaldare prima il piatto [e sarebbe buona regola dirmelo primadi averlo riempito] versandoci un ramaiolo d’acqua bollente e poi asciugandolo [ma no, perchè, lasciamolo lì, il rognone in guazzetto].

Il rognone così preparato si può servire benissimo anche in una colazione elegante [perchè i pancakes fanno tanto parvenu].

Per concludere, [grappa sturalavandino!] il rognone deve cuocere appena quel tanto necessario e non inseccolirsi sul fuoco [ungetelo con dello strutto, via] deve gettar via completamente tutta la parte sanguigna [beurk] e dev’essere gustato appena fatto.

Soltanto a queste condizioni avrete una eccellente pietanza tenera e saporita. [anche se lo sappiamo, vostro marito andrà lo stesso all’osteria. No, dico, vi siete viste?]

Con l’identico sistema potrete preparare i rognoni di maiale, i quali, purché cucinati a regola d’arte, [quindi non da voi] sono squisiti

Ma, chiaramente, ad Aduccia non andava di spiegarvi la ricetta. Arrangiatevi.

La pasticceria è un’arte per pochi.

23 Apr

Aduccia poteva apparire brusca.

In realtà, lo faceva per noi, con lo stesso spirito con cui le mamme ti dicono “il medico pietoso fa la piaga purulenta” e ti strappano via il cerotto (e la crosta) con un gesto secco incurante dei tuoi ululati.

Soprattutto, Ada, come sappiamo, ci teneva ad iniziarci alla fine arte della pasticceria. Così, con polso duro, metodo “ti butto in acqua e nuoti”. Così imparate. Solo le forti ce la fanno.

Seh, vabbè, che parlo a fare… si dev’essere detta Ada,  via, una ricetta facile, golosa. Ce la possono fare. Ce la devono fare, debosciate mollaccione che non sono altro.

I cialdoni [chè le cialde le sanno fa’ tutte]

I cialdoni sono facilissimi a farsi [tranne per le inettone tipo voi]: basta avere l’apposito ferro da cialde.

[via. A cercare l’apposito ferro. Camminare. Dev’essere lì, nella voragine che, nella vostra cucina, sostituisce l’indispensabile forno a mattoni]

In un recipiente mettete tre cucchiaiate di farina, una cucchiaiata colma di zucchero, e sciogliete il tutto con un bicchiere scarso d’acqua, aggiungendo poi una mezza cucchiaiata di strutto [solo mezza?! Ma intendi un cucchiaio da ruspa, vero?!] appena intiepidito [così ne sentite tutto l’aroma sugnoso].

Dovrete ottenere una pastella senza grumi [vedete se ce la fate].

Mettete a scaldare sul fuoco il ferro da cialde [sì, sempre il vostro ferro da cialde immaginario, piccole impreparate] e quando sarà caldo apritelo [con le mani nude! Coraggio!] e versateci mezza cucchiaiata di pastella.

Richiudete [sempre a mani nude] rimettetelo sul fuoco prima da una parte, poi dall’altra [e non in verticale sul fornello come avrete fatto voi, incapaci] togliete via con la punta di un coltellino le sbavature [che di sicuro ci saranno, visto quanto siete imprecise] e, dopo pochi minuti, quando la cialda avrà preso un bel colore d’oro chiaro [ma se il ferro è chiuso, io che ne so di che colore è la cialda?!] aprite il ferro [sempre a mani nude! Non fa male, non fa male!] e aiutandovi con un coltello [tra i denti, per non urlare. Le cialde le togliete a mano] staccate la cialda.

Senza aspettare che si freddi [pavide procrastinatrici che non siete altro] arrotolatela intorno ad un bastoncino o ad un pezzetto di canna [di bambù, tossiche spiritoselle che siete] e continuate così fino ad esaurimento della pastella [o delle dita].

Bisogna che l’operazione dell’arrotolamento dei cialdoni sia fatta con la massima sveltezza [eh, lumacone?] altrimenti la pasta raffreddandosi ed asciugandosi si spezzerebbe. A facilitare lo staccarsi della cialda dal ferro [si noti la perversione di rivelarlo solo a ricetta finita] è buona norma [e che, non lo sapete?] ungerlo di quando in quando internamente con un nonnulla di strutto [tipo un sei etti. E’ un po’ di più, lascio?]

I cialdoni si servono generalmente con della chantilly. [ma siccome voi manco saprete che è, userete la panna vegetale spray. Ve conosco]

…come va la ferita? Metto un po’ di disinfettante?

Benedettava: Più sugna, per Toutatis!

13 Apr

come vi dicevo, il fatto che Ada scrivesse per l’agenda Cigno, con ovvi limiti di spazio, non significa che avesse rinunciato alle basi della sua cucina. Eh che, davero davero.

No, semplicemente rendeva la vera cucina alla portata delle donne impegnate, schiacciate dai tempi, e che non per questo avevano perso il diritto alla Sacra Sugna.

Insomma, Ada era una benefattrice dell’umanità. Con ricettine semplici, sfiziose e leggere.

Manzo Braciato

(imbavagliate il bardo e partano i festeggiamenti!)

Foderate il fondo di una casserola [le U sono per i deboli, ve l’ho già detto] con fettine di lardo o [per una variante light, ché s’avvicina l’estate] pancetta;

versatevi un po’ d’olio [eh beh, ci sta. Se no è secco] o una cucchiaiata di strutto [ssssììì, strutto, dimmelo ancora, strutto!] e adagiatevi sopra un bel pezzo di manzo. [no, non va bene Orlando Bloom. E manco Viggo Mortensen. Manzo vero, spiritoselle]

[su Karl Urban ci faccio un pensiero. Secondo me la sugna gli piace. Ma non divaghiamo]

Chiudete ermeticamente [perchè il manzo, tra fette di lardo, olio, strutto, rischia di scivolare fuori] e fate cuocere per due e mezzo – tre ore [ah dite che dovevo dirvelo prima, che non era una cosa mordi e fuggi? Ah dite che avete già gli ospiti di là con il crodino e l’oliva? Eh, problemi vostri. Che aspettino]
a fuoco assai moderato, voltandolo di tanto in tanto, perché non si attacchi.  [Aduccia, c’è talmente tanto grasso, che il manzo galleggia]

A tre quarti della cottura versatevi un mestolo di brodo […ho capito, che siete donne moderne, donne magiche donne che si allenano: ma il brodo random ce l’avete, a casa, sì?! Ma come no! Impreparate!] o acqua calda [che, non vi conosco, a voi?] in cui avrete diluito due cucchiai di Vero Frutto di Pomidoro Cigno [e l’unico vero frutto dell’amor… è il pomidooooro, il pomidoooooro…] aggiungete qualche chiodo di garofano, dosate di sale e pepe e fate addensare la salsa.

E qui, chiaramente, è finito lo spazio. Perché secondo me, Ada, un filo d’olio a crudo ci stava tutto.

Sapevatelo: per inette smacchiatrici/2

3 Apr

bene, prosegue la disamina di Ada sulle macchie e la loro eliminazione (e lo so che ne avete bisogno, visto che l’altra volta vi ha fatto macchiare di uovo i vestiti…)

Altri detersivi sono l’ammoniaca, l’essenza di trementina, l’etere, l’acqua ossigenata, l’alcole  [sì, lo, poracce, voi solo l’alcol c’avete…] l’acido cloridrico molto diluito [se non vi piacciono i buchi enormi sul centro delle camicie, ovvio] il borace sciolto nell’acqua, il succo di limone, la trementina [prendi fiato, Ada, che sembri un bambino delle elementari quando enuncia i fiumi italiani]

la radice di saponaria [come sarebbe, che non ce l’avete?!] o il legno di Panama [quello di Suez no. Ahahah. Ah. Che ridere] per le lanerie [che sarebbe a dire la roba di lana, non un negozio] e le stoffe di colore […com’era politically correct] in genere di cui conservano mirabilmente le tinte, nella proporzione di 100 gr. [di che? di tinte?! Di Lana?!] per ogni litro d’acqua.

Ancora: una saponata nella quale siano stati prima ben diluiti 2-3 cucchiai di farina, poi portata ad ebollizione e quindi lasciata intiepidire [Pronto, Mariuccia? No, senti questa… gli ho detto di lavare le cose con la colla di farina… e loro… buuuuahahah… credono pure a quello!] serve ottimamente per la lavatura [o lavazione] di flanelle bianche e tessuti delicati di lana in genere.

A questo scopo si può adoperare con fiducia [fidatevi di Aduccia… mica vi fa lavare le cose con l’uovo…] anche l’acqua di crusca [che è tipo l’acqua di rose, ma più rustica]come pure quella dove si sono cotte le patate o la pasta.

Molti di questi prodotti sono nocivi e pericolosi, e pertanto vanno conservati in bottigliette etichettate e tenute lontane dalle mani dei bambini [eccole là, le mie cretinette, che corrono a etichettare e mettere in alto l’acqua della pasta]

 

Le macchie di unto [e se cucini come Ada, ne hai, oh, se ne hai…] fresche scompariranno facilmente cospargendole con un pizzico di borotalco. Se le macchie son di data non recente [zozzone che accumulate panni sporchi] il borotalco va cosparso dopo averle appena inumidite con acqua, o una goccia di benzina [con quel che costa la benzina, compro il capo nuovo!]

Nei cappelli di feltro [che avrete a bizzeffe] si levano sfregandole con una pezzuola imbevuta di alcole e ammoniaca in parti uguali.

Per la seta [hip hip urrà] metà trementina e metà succo di limone

Per i tessuti lavabili, acqua e sapone [e di nuovo vi stupisco con notizie impensate!]

Le macchie di vino e di frutta dalle tovaglie si possono togliere soffregando da tutti e due i lati il tessuto con glicerina e stirando poi al rovescio [viva la mappazza cotta!]; oppure trattandole con dell’acido muriatico allungato nell’acqua [che sarebbe a dire: se la tovaglia non si smacchia, scioglietela nell’acido!] o anche con vapori di zolfo o acqua di cloro [che è sempre come l’acqua di rose, ma sa di varechina].

Se la macchia è fresca, si bagni il tessuto e lo si cosparga di sale fino [gettandone un po’ dietro la spalla sinistra, come buon augurio] o con acqua ossigenata [come sarebbe, che non tenete l’acqua ossigenata a tavola] e risciacquando.

Su tessuti di lana, la macchia va trattata con acqua e ammoniaca o con vapori di zolfo

Ricordatevi sempre i pasticcini per quelli del 118.

 

 

Aforismi adeschi: flylady ante litteram

30 Mar

Ci sono molte cose che volentieri getteremmo via,

se non temessimo che qualcun altro possa raccoglierle.

 


Oscar Wilde in “The epigrams of Oscar Wilde” (curato ed edito da Alvin Redman, 1954)

 

Citato dall’Anonimo Adista nell’agenda del 1948.
E’ vero, però.

Tra le cose che non si buttano via, e stan lì a rubare spazio, ci sono quelle cariche di ricordi (e spesso negativi… o che inducono sensi di colpa…)… ma altre volte, capita di non dar via delle cose perchè “non mi va che lo usino quelli per strada, magari un giorno serve a me”…

Addirittura un giorno (ero in taxi) alla radio un “signore” diceva di non buttare le cose nei secchioni della spazzatura prima di averle rese inservibili perchè, altrimenti, la gentaglia avrebbe infestato il quartiere in cerca di occasioni da cassonetto.

Grazie, Anonimo Adista, m’hai ricordato che cose che a casa mia prendono solo spazio, magari a qualcuno servono.

(ebaaaayyyy?)

 

 

 

 

 

 

Debosciate estreme: sempre più difficile

30 Mar

Ce l’avete fatta a fare la pasta alla rustica?

Eh?

Visto, che c’è speranza per tutte?

Aduccia prosegue nella sua opera di recupero debosciate…

ecco una perla del 1948, organizzatevi per bene perché non è cosa da prendere sotto gamba.

 

Pasta al burro

[no, Ada, ma che, davero davero?]

Di qualsiasi forma sia la pasta che adopererete, [e non seccatemi con queste inezie!] tenete presente che va cotta in abbondante acqua salata, a bollore [davvero, Ada? Ah non si frigge?! Ah.]

Nella zuppiera calda [tipo le tazzine del bar, che stan sulla macchina a scaldarsi] mettete del buon burro fresco [e non la margarina rancida che ci avreste messo voi], sul quale verserete prima un mestolino dell’acqua di cozione [cottura lo dicono tutti…] della pasta.

Dopo una prima rimestatura, potete aggiungere qualche altro condimento [ma sì… tanto…]: del succo di carne [e perché non una spremuta di pollo, Ada?] preparato ad intingolo, e una abbondante spolverata di formaggio;

oppure [ricordandomi improvvisamente chi mi ha commissionato codesta ricetta] il condimento tipo per qualsiasi stagione e sempre apprezzato: dell’ottimo Super Cigno condensato, salsa preparata con pomidoro sceltissimi.

Io non so voi, ma temo che la prossima ricetta di questa rubrica contenga solo il numero di telefono di un ristorante cinese con consegna a domicilio.

Accorrete numerosi: chucky ubriaco

29 Mar
la bambola che trinca

Mamma - hic - Mamma

Bebè in Sunvinil morbido, occhi mobili, altezza cm. 33, beve e bagna

Occhi mobili.

Incedere Incerto.

Bottiglia in mano.

Incontinenza.

Taccagnone, con sole 160 etichette avete la possibilità di generare incubi ai vostri virgulti per mesi!!

Approfittate!!